L’era post-smartphone è iniziata: OpenAI, Jony Ive e l’invasione silenziosa dell’intelligenza artificiale

L’era post-smartphone è iniziata: OpenAI, Jony Ive e l’invasione silenziosa dell’intelligenza artificiale

Nel grande videogioco dell’innovazione tecnologica, dove ogni nuova mossa può riscrivere le regole del presente e scolpire il futuro, OpenAI ha appena giocato una carta che sembra uscita direttamente da una sceneggiatura di Black Mirror. Un gesto audace, quasi sovversivo, che potrebbe ridefinire non solo il concetto di smartphone, ma l’intero rapporto tra esseri umani e tecnologia. Sam Altman, il visionario CEO di OpenAI, insieme a Jony Ive, leggendario designer dietro l’estetica iconica di iPhone e Mac, ha deciso di lanciare una sfida epocale: un dispositivo mobile senza schermo, animato unicamente dall’intelligenza artificiale.

Sì, avete letto bene. Nessuno schermo. Nessun touchscreen. Solo voce e IA. Un’idea tanto radicale quanto affascinante, che non si limita a provocare ma che intende trasformare profondamente l’esperienza dell’utente. In un mondo dominato da notifiche invadenti, feed infiniti e occhi costantemente puntati verso display luminosi, questo progetto immagina un futuro in cui la tecnologia si fonde con l’ambiente, diventando invisibile ma onnipresente, silenziosa ma sempre pronta a rispondere. È il concetto di ambient computing che prende forma concreta.

Secondo quanto riportato da The Information, Altman e Ive sarebbero in trattative avanzate per acquisire io Products, una startup hardware nata proprio dalla loro collaborazione. A rendere ancora più affascinante la questione, ci sarebbe il sostegno finanziario di Laurene Powell Jobs, vedova di Steve Jobs, che avrebbe investito circa un miliardo di dollari nel progetto. Un investimento che sa di consacrazione e che alimenta il mito di un dispositivo destinato a raccogliere l’eredità spirituale dell’iPhone. Ma con un’anima profondamente diversa.

Il dispositivo immaginato da Altman e Ive non ha interfacce visive. Non richiede tocchi o swipe. Si controlla solo con la voce e con l’intelligenza artificiale, che diventa il cuore pulsante dell’interazione. Un assistente invisibile, sempre presente, capace di comprendere contesti, anticipare bisogni e interagire in maniera empatica. Una sorta di “compagno digitale” più che un telefono. Ed è qui che il progetto tocca corde profonde, tanto nella cultura nerd quanto nella nostra memoria collettiva.

Infatti, l’idea di dispositivi vocali senza schermo ha radici profonde nella fantascienza. In Her di Spike Jonze (2013), l’IA Samantha interagisce esclusivamente tramite la voce, senza alcuna interfaccia visiva. In Star Trek, i protagonisti dialogano con i computer di bordo usando semplici comandi vocali. Tony Stark si affida a J.A.R.V.I.S. e F.R.I.D.A.Y. nell’universo Marvel, usando comandi verbali con dispositivi indossabili. In Black Mirror, l’episodio “White Christmas” mostra un’IA domestica che vive all’interno di un contenitore privo di schermo. Blade Runner 2049 introduce Joi, un’intelligenza artificiale olografica capace di provare (o simulare) empatia. Anche opere come Futurama (con l’Ophone), Minority Report e 2001: Odissea nello Spazio hanno immaginato un mondo in cui la voce è la chiave per interagire con la tecnologia, anticipando di decenni quello che oggi sta diventando realtà.

E proprio mentre Apple rallenta con il suo ambizioso progetto “Apple Intelligence”, la mossa di Altman e Ive rischia di spiazzare completamente la concorrenza. Il fatto che sia proprio l’ex guru del design di Cupertino a guidare questa rivoluzione fuori dai confini dell’ecosistema Apple aggiunge un tocco quasi epico alla narrazione. Un po’ come se un Jedi avesse deciso di abbracciare un’altra Forza – non quella oscura, ma quella della creatività assoluta.

Non a caso, un esempio tangibile di questa nuova filosofia lo abbiamo già visto con l’Humane AI Pin, un wearable che, al posto di uno schermo, proietta le informazioni sulla mano dell’utente. Non è detto che il dispositivo OpenAI seguirà esattamente questa strada, ma lo spirito è chiaramente affine: tecnologia discreta, meno invasiva, più umana. Un ritorno all’essenza della comunicazione, senza l’ossessione per l’interfaccia grafica.

Tuttavia, non mancano le perplessità. In una società già iperstimolata e affetta da sindrome da notifica, siamo davvero pronti a liberarci degli schermi? Parlare costantemente con un assistente vocale, in spazi pubblici o privati, non rischia di trasformare il mondo in un frastuono di comandi digitali? E cosa succede alla privacy, alla concentrazione, al nostro modo di relazionarci con gli altri quando la tecnologia diventa un’estensione invisibile del nostro pensiero?

A tal proposito, anche Bill Gates ha recentemente espresso preoccupazioni profonde sull’impatto degli smartphone, in particolare nei confronti delle nuove generazioni. Secondo il cofondatore di Microsoft, l’uso precoce e intensivo dei cellulari può compromettere la creatività, il pensiero critico e la capacità di concentrazione nei bambini e negli adolescenti. Gates ha sottolineato l’importanza di spazi liberi da schermi e ha invocato un maggiore coordinamento tra famiglie, scuole, aziende e politici per proteggere lo sviluppo mentale e sociale dei giovani. Un’allerta che risuona con forza proprio mentre emergono alternative tecnologiche come quella di OpenAI, che sembrano voler prendere le distanze da un modello ormai saturo e problematico.

E allora la domanda sorge spontanea: stiamo davvero assistendo alla fine dell’era dello smartphone? Forse è presto per decretarlo, ma è indubbio che il terreno sotto i piedi delle Big Tech si stia muovendo. Se il progetto di Altman e Ive andrà in porto, non sarà solo l’arrivo di un nuovo attore nel mondo dell’hardware, ma un vero e proprio reset culturale. Un cambio di paradigma che ridefinirà cosa significa essere connessi, cosa significa avere un assistente personale e – soprattutto – cosa significa vivere con (o senza) uno schermo in mano.

Nel frattempo, le grandi aziende tremano. Apple riflette. E i nerd di tutto il mondo osservano, con le antenne dritte e gli occhi spalancati, pronti ad accogliere – o criticare – questa nuova frontiera dell’innovazione.

Una cosa è certa: l’intelligenza artificiale non è più soltanto una voce nei film di fantascienza. È reale, concreta, e sta bussando alla porta. E stavolta non ha nemmeno bisogno di uno schermo per farsi vedere.

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